mercoledì 31 dicembre 2014

Il Biologico: questo sconosciuto

Si sente tanto parlare in giro di "biologico": allevamenti, coltivazioni, agricoltura, prodotti "BIO". Ma siamo sicuri di sapere di cosa si tratta?

Innanzitutto diciamo di cosa NON si tratta: 
Biologico non è sinonimo di light. Mangiare biologico non significa "dimagrire".
Biologico non è sinonimo di "non fa male". O, meglio, in presenza di una specifica patologia per la quale è controindicata l'assunzione di un determinato alimento (es. nella celiachia, nell'intolleranza al lattosio, nelle allergie, ecc) il divieto rimane anche per le versioni "BIO" dello stesso alimento.
Biologico non è pulito, almeno non completamente. Anche un frutto o un ortaggio biologici necessitano di lavaggio prima del consumo, perché potrebbe essersi depositata della polvere o perché potrebbero essere stati maneggiati da mani "sconosciute", per cui la buona prassi igienica prevede SEMPRE e COMUNQUE il lavaggio pre-consumo.

Detto cosa NON E' il biologico possiamo, ora, passare al cosa E'.

Le produzioni biologiche hanno iniziato a prendere piede da quando si è sviluppata una maggiore consapevolezza che i pesticidi, gli erbicidi, gli anticrittogamici, gli insetticidi, i farmaci che tanto hanno aiutato le produzioni agricole ed animali, proteggendole dai patogeni, se arrivavano ad uccidere gli organismi nocivi, probabilmente tanto bene non dovevano fare a chi mangiava quei prodotti trattati senza avere cura di pulirli a fondo. 

Quali sono i problemi legati all'ingestione di queste sostanze? Innanzitutto il rischio di intossicazione e avvelenamento da sostanza chimica, per concentrazioni molto elevate. Ma anche laddove i residui siano ridotti al minimo, se questo minimo viene, in ogni caso, consumato in maniera costante e cronica per una vita intera, può interferire con i sistemi endocrini del nostro organismo, causando disfunzioni o insorgenza di patologie, anche gravi.

A livello legislativo la comparsa di una norma relativa alle produzioni biologiche risale al 1991, con il Regolamento CEE n.2092, sostituito nel 2007 dal Regolamento CE n.834 e nel 2008 dal Regolamento CE n. 889, mentre nella normativa italiana è apparso nel 2009 con il D.M. 18354.

Il principio di base delle produzioni biologiche è il rispetto della natura, delle sue creature, dei suoi ambienti, delle sue leggi. Niente di sintetico e di intensivo deve intervenire nelle produzioni biologiche e sia gli animali che i vegetali non devono subire alcun maltrattamento durante la loro vita.

Le coltivazioni devono essere spontanee, non forzate da fertilizzanti di sintesi industriali, ma alimentate solo con prodotti naturali, residui di materiale organico, compost, letame. Non devono essere utilizzati pesticidi, fitofarmaci né alcuna altra sostanza di sintesi industriale, ma le coltivazioni devono essere preservate con metodi naturali, attraverso la scelta di specie più resistenti, la rotazione delle coltivazioni (ovvero non si coltiva due volte lo stesso prodotto nello stesso posto per evitare la colonizzazione dei patogeni specifici per quel vegetale), la disposizione delle varie coltivazioni in modo che una pianta sia repellente per il patogeno della pianta accanto, la plantumazione, intorno al campo coltivato, di specie arboree ed arbustive che siano da habitat per i predatori dei patogeni. 
Quando dovesse essere necessario intervenire con sostanze esterne,  è necessario che queste siano di origine naturale, estratti di piante, farina di roccia o minerali naturali. Il terreno non deve essere sfruttato in maniera intensiva, ma solo per quel che è in grado di dare.
In ogni caso, il Regolamento Europeo prevede una lista (detta lista positiva) di tutti i prodotti di origine naturale autorizzati per le coltivazioni biologiche.

Per quanto riguarda gli allevamenti biologici il principio di base è rispettare l'animale, i suoi ritmi, il suo habitat, i suoi tempi e le sue caratteristiche. Non esiste allevamento intensivo, gli animali vivono nel proprio habitat naturale, non vengono trattati con antibiotici, ormoni né alcuna altra sostanza che interferisca con il loro processo di crescita e di produzione (naturalmente in caso di necessità è consentito l'intervento veterinario per la cura di un singolo animale). Gli animali vivono in numero proporzionale allo spazio a loro disposizione, in caso di trasferimento il tragitto deve essere il più breve possibile, non devono essere maltrattati, forzati né devono essere loro somministrati tranquillanti durante il viaggio. L'alimentazione deve essere bilanciata e deve rispecchiare gli effettivi fabbisogni della specie e non deve includere alimenti arricchiti artificialmente, contenenti ormoni o farmaci di alcun tipo, non deve contenere residui animali (ad eccezione di latte e prodotti lattiero - caseari) né organismi geneticamente modificati. Naturalmente anche il cibo per gli animali di un allevamento biologico deve provenire da una coltivazione biologica.


mercoledì 5 novembre 2014

Frutta e verdura: come lavarle?

Per quanto al giorno d'oggi le normative europee impongano innumerevoli controlli di qualità nella filiera agroalimentare "dal produttore al consumatore", ci hanno sempre insegnato che la prudenza non è mai troppa.
In particolare, quando frutta e verdure arrivano nelle nostre cucine, non possiamo mai essere certi al 100% da dove arrivino e che strada abbiano fatto.
  1. Rischio pesticidi e diserbanti: nonostante negli ultimi decenni tantissime sostanze chimiche siano state bandite dalle aziende agricole a causa della loro tossicità, molte sono ancora pienamente utilizzate e, benché meno nocive del temutissimo DDT, non è che siano proprio dei toccasana per la nostra salute;
  2. Inquinamento: pur acquistando vegetali di coltivazione biologica dobbiamo comunque fare i conti con l'inquinamento dell'aria: smog, scarichi industriali, incenerimento di scarti agricoli o (peggio) di rifiuti abbandonati, sono tutte fonti di produzione di particolato che, per gravità, può depositarsi sui nostri prodotti della terra;
  3. Patogeni: l'agricoltura biologica è nata per contrastare il vasto utilizzo di sostanze chimiche che contaminano comunque i prodotti vegetali. Ma a loro volta l'utilizzo dei pesticidi è nato per preservare gli alimenti dall'attacco dei patogeni, per cui i vegetali biologici, pur garantendo una maggiore genuinità, hanno comunque un rischio più elevato di contaminazione da patogeni.
  4. Sporcizia: terra, polvere, tante mani che li hanno maneggiati, accatastamento in cassette e bauli di ignota origine... non possiamo esser certi di cosa sia stato a contatto con i nostri prodotti agroalimentari e che potrebbe essere rimasto depositato sulla superficie.
Questo basta a far capire quanto sia importante SEMPRE E COMUNQUE lavare bene frutta e ortaggi per garantire una buona qualità dell'alimento senza rischi di altro genere.

FONDAMENTALE, così come ci insegnano genitori e nonni, è lavare bene con acqua corrente, anche per 2-3 volte. L'ideale è che sia tiepida (tranne per l'insalata, che va lavata in acqua fredda per evitare perdita di tonicità delle foglie). Le verdure a scorza dura, come patate e carote, vanno trattate anche con una spazzola, mentre la frutta a grappolo o di piccole dimensioni (uva, ciliegie) vanno messe in ammollo (non troppo), sfregate delicatamente e cambiate di acqua un paio di volte.

Per uva, mele, prugne, pesche, pere e pomodori può essere sufficiente il trattamento con acqua. 

In alcuni casi è opportuno intervenire anche con qualche solvente, possibilmente di tipo naturale. NO, quindi, AGLI ADDITIVI CHIMICI, non è necessario utilizzare l'amuchina, poiché questi possono alterare il valore nutritivo del vegetale e possono, paradossalmente, lasciare tracce sulla superficie.

In alternativa esistono dei metodi semplici ed anche economici che prevedono l'utilizzo di sostanze comunemente presenti nelle nostre case:

Bicarbonato: mele, melanzane, peperoni, pere vanno trattate con una crema ottenuta da un mix di acqua e bicarbonato in rapporto 1:1, per gli altri alimenti si può optare per un ammollo di 15 minuti in una miscela di 1 litro d'acqua + 1 cucchiaio di bicarbonato (eventualmente con qualche goccia di limone, per aumentarne l'efficacia).
In alternativa si può preparare uno spray al bicarbonato con 1 cucchiaio di succo di limone, 1 cucchiaio di bicarbonato  ed 1 tazza d'acqua, il tutto inserito in uno spruzzino. Al momento si spruzza sulla frutta e sulla verdura da lavare, si lascia per 5-10 minuti e poi si risciacqua.
ATTEZIONE: acqua e bicarbonato sono un ottimo metodo per eliminare i patogeni, ma non per i pesticidi, per i quali il miglior metodo rimane un lavaggio energico con acqua corrente.

Aceto: sia l'aceto bianco che l'aceto di mele hanno delle ottime proprietà disinfettanti nei confronti dei patogeni, per cui sono tra i primi espedienti per la pulizia di frutta e verdura utilizzati in casa. Una miscela in acqua efficace è costituita da una rapporto di 2:1 tra acqua e aceto, ma è possibile creare delle varianti aggiungendo anche il limone o il sale o entrambi. Ad esempio, una miscela di 1/4 di tazza di aceto di mele + 1 grossa manciata di sale + abbondante acqua sono efficaci anche contro le spore delle muffe

In generale, possiamo elencare un efficace decalogo per garantire un consumo sicuro di frutta e verdura nelle nostre case:
  1. Sciacquare bene ed energicamente tutto con acqua corrente (un occhio di riguardo alla frutta a grappolo e di piccole dimensioni,,,non distruggiamole!);
  2. Mantenere puliti i piani della cucina, di cottura e il frigo, pentole, posate e tutto ciò che entra in contatto con gli alimenti;
  3. Lavarsi sempre le mani con acqua tiepida e sapone prima di maneggiare gli alimenti;
  4. Non utilizzare sacchetti di plastica per conservare frutta e verdura;
  5. Non utilizzare prodotti chimici per la pulizia e la disinfezione degli alimenti;
  6. Evitiamo di consumare la frutta con la buccia;
  7. Se proprio dobbiamo consumare frutta con la buccia non trascuriamo nessun passaggio per la pulizia, compresi gli strofinamenti con panni e spazzole
  8. Lavare sempre tutte le parti, anche gli scarti: il contatto delle mani e delle stoviglie con parti "sporche" dell'alimento può contaminare anche la parte edibile;
  9. Tutte le parti danneggiate devono essere rimosse, potrebbero essere punti deboli per l'attacco di patogeni;
  10. Teniamo frutta e verdura lontano dalle carni non cotte per evitare il rischio di contaminazioni.
E ricordiamo che un consumo costante di frutta e verdura 5 volte al giorno è alla base della buona alimentazione e di un'ottima prevenzione!



venerdì 26 settembre 2014

Le Iene e La Terra dei Fuochi: qualche precisazione

Il servizio de "Le Iene" di mercoledi 24 settembre, relativo agli interventi effettuati (o non effettuati) nella Terra dei Fuochi in quest'anno di studi, di proteste, di decreti e di litigi ha lasciato un po' tutti senza parole, in quanto si è mostrato uno Stato "assente", poco attento alle esigenze ed alle emergenze della sua popolazione.


Qualche osservazione, però, è d'obbligo, perché da un lato il servizio è stato girato nel mese di luglio 2014 ed in questi mesi c'è stato qualche piccolo cambiamento nella situazione e dall'altro lato è necessario soffermarci a riflettere su quanto sta accadendo, per poter ben distinguere dal "problema Terra dei Fuochi" e lo "spettacolo Terra dei Fuochi".

Ma andiamo con ordine:

1) Il servizio è iniziato con la denuncia dell'inefficienza del Decreto "Terra dei Fuochi" di dicembre 2013, convertito in legge a febbraio 2014, in quanto lo stesso Decreto prevede sanzioni penali per chi si macchia del reato di "combustione dei rifiuti", ma, come hanno dimostrato nel servizio, l'abbandono (ed il conseguente incendio) di rifiuti continua indisturbato, senza controllori e sanzionatori. Probabilmente questo è il problema PIU' GRAVE della Terra dei Fuochi, dove gli incendi di rifiuti sono all'ordine del giorno ed i fumi da essi derivanti risultano estremamente dannosi per la salute umana, liberando interferenti endocrini (es diossine).

2) E' stato mostrato che, anche in zone sequestrate ed interdette alla coltivazione, si è continuato a coltivare indisturbati, senza alcun intervento da parte delle istituzioni, intervenute solo dopo segnalazione da parte de Le Iene stesse. Al di là della motivazione e della fondatezza dell'intervento, la legge va applicata e rispettata, se ti si dice che non puoi coltivare, non puoi coltivare. Se poi si dimostra che il sequestro è illegittimo, si può agire per vie legali per essere ripagati delle gravi perdite apportate dal (inutile) sequestro.

3) E' stato sottolineato che, nella mappatura effettuata dopo il Decreto Terra dei Fuochi, sono state confrontate le foto aeree del 1997 ed attuali relative alle medesime zone, per individuare eventuali cave riempite nel tempo. Il tecnico intervistato ha evidenziato che la maggior parte delle cave sono state riempite negli anni PRECEDENTI al 1997, per cui sarebbe stato più opportuno, per lo scopo prefissato, utilizzare foto aeree dei primi anni '80 e non del 1997. Sostanzialmente non sappiamo quale sia stato il motivo per cui è stato scelto il 1997 come anno di riferimento, ma c'è da sottolineare che non tutte le discariche derivanti da cave abbandonate devono per forza essere illegali e piene di rifiuti pericolosi. Infatti la normativa prevede proprio l'utilizzo di queste cave dismesse per QUALUNQUE tipo di discarica, anche di rifiuti urbani, quindi, ben venga il confronto con le foto aeree degli anni '80, ma con la consapevolezza che i riempimenti potrebbero essere stati effettuati per legalissime discariche di rifiuti urbani. Naturalmente, sarebbero i successivi approfondimenti a determinare, poi, la natura dei rifiuti lì sotterrati.

4) Dall'inizio della procedura dei sequestri (sia dei pozzi che dei terreni) tante analisi sono state effettuate sia sulle acque che sui prodotti. Al momento (ultima sentenza della Corte di Cassazione del 19 settembre 2014) non è stata dimostrata alcuna contaminazione e quasi tutti i sequestri sono stati annullati. Come già spiegato nel punto 2), però, questo non giustifica il comportamento di chi, incurante degli interventi, ha infranto il divieto continuando a coltivare.

5) Bisogna fare attenzione quando si parla di "contaminazione dei prodotti coltivati". I processi chimici che avvengono tra il suolo e le piante che vi crescono sopra sono estremamente delicati ed anche complessi. Non basta la sola presenza di una sostanza nel suolo per far sì che tale sostanza venga assorbita dalla pianta. Introduciamo, con l'occasione, il concetto di biodisponibilità

La biodisponibilità è la frazione di un nutriente che un organismo è in grado di assorbire e di utilizzare per le proprie funzioni fisiologiche. 
La biodisponibilità può variare in relazione a numerosissimi fattori, dipendenti in parte dalla natura della sostanza ed in parte dalle caratteristiche dell'organismo che lo assume. Come tali, questi fattori si distinguono in:
  1. intrinseci, legati cioè al tipo di vegetale che è stato coltivato (apparato radicale, nutrienti richiesti, ecc)
  2. estrinseci, legati cioè alla fonte nutrizionale: forma chimica del minerale, interazione con altri nutrienti, pH, trattamenti tecnologici, presenza di fattori antinutrizionali che ne limitano l'assorbimento o, viceversa, di altri che lo esaltano.
Questo vuol dire che non solo una certa sostanza deve essere presente nel suolo in una determinata quantità, ma deve trovarsi nella condizione adatta all'assorbimento. Se, poi, come si verifica nei suoli campani, sono presenti strati costituiti da materiale impermeabile, come la pozzolana, derivante dalle eruzioni vulcaniche che hanno originato gran parte dei suoli della Campania, qualunque tipo di sostanza "dispersa" nel suolo non può attraversare lo strato impermeabile, pertanto non potrà raggiungere, secondo questa via, le acque di falda sottostanti, comunemente utilizzate per l'irrigazione dei campi coltivati.




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martedì 16 settembre 2014

Pesce e mercurio? Mettiamo i puntini sulle i

Il consumo di pesce è sempre fortemente consigliato per il suo quantitativo di Omega 3 che tanti benefici apporta al nostro organismo. Ma, nonostante questo, il consumo di pesce è ancora molto "snobbato" dai consumatori, per svariate motivazioni (costa troppo, ha troppe spine da togliere, è complicato da cucinare, non mi piace il sapore, puzza, è inquinato, ecc)

Uno dei problemi più noti, nello specifico, è la possibilità che il pesce che mangiamo contenga mercurio, uno spauracchio che ci dà solo un motivo in più per evitare di mangiarlo.
Naturalmente un accumulo di mercurio è pericoloso per l'organismo, ma è il caso di dare qualche piccolo chiarimento, rifacendoci ad un'intervista a Maurizio Ferri, medico veterinario e membro del Consiglio Direttivo SIMeVeP (società italiana di medicina veterinaria, pubblicata da Il Fatto Alimentare:


Che cos’è il mercurio e quali sono gli effetti tossici per le persone?

Il mercurio è un metallo che esiste in diverse forme chimiche ed è rilasciato nell’ambiente sia da fonti naturali che artificiali. Una volta rilasciato, subisce una serie di trasformazioni complesse e fa parte di diversi cicli tra atmosfera, oceani e terra. Le tre forme chimiche del mercurio sono: mercurio elementare o metallico, mercurio inorganico e mercurio organico. Il metilmercurio è la forma più comune di mercurio organico, la più tossica, ed è presente nella catena alimentare principalmente nei prodotti ittici. I gruppi di popolazione particolarmente interessati o a rischio di esposizione al mercurio includono le donne in gravidanza o che allattano, e i bambini. La gravidanza e l’allattamento costituiscono i periodi più critici per la tossicità del metilmercurio. Questa sostanza è in grado di superare la barriera cerebrale e quella placentare causando danni a carico del sistema nervoso centrale e dello sviluppo del feto: alte dosi causano ritardo mentale grave del nascituro, dosi più basse provocano alterazioni dello sviluppo psicomotorio. Tra i sintomi legati all’esposizione cronica ci sono le alterazioni della funzionalità renale, della memoria, problemi motori e della coordinazione. È documentata l’associazione tra l’esposizione al metilmercurio e le malattie cardiovascolari (JECFA, 2007) anche se è noto l’effetto benefico del consumo di pesce (presenza di acidi grassi omega 3) che contrastarebbe l’azione del metilmercurio sul sistema cardiovascolare. Un’azione di contrasto è svolta anche dal selenio presente nell’ambiente o negli alimenti.

Quali sono gli alimenti che costituiscono un rischio sanitario per i consumatori ?

Il mercurio è ampiamente presente negli alimenti, compresi i vegetali, ma la sua forma tossica, il metilmercurio, è riscontrabile a livelli significativi soltanto nei prodotti ittici. Le altre fonti alimentari contengono mercurio inorganico, poco assorbito nel tratto gastrointestinale e rapidamente escreto. Dall’esame della letteratura si stima che nei prodotti ittici circa il 90-99% del mercurio presente nei pesci si trova sotto forma di metilmercurio. In particolare le specie predatrici quali il pesce spada, tonno, squalo e altri (come smeriglio, verdesca, palombo), trovandosi all’apice della catena alimentare, possono contenere livelli elevati di metilmercurio (compresi tra 500 e 1.500 μg/Kg) e dunque costituire importanti fonti di esposizione per l’uomo. Tutti gli altri tipi di pesce a rischio (ovvero carnivori di terzo e quarto livello trofico nella piramide alimentare, quali salmone, merluzzo, sogliola, gamberetti …) contengono quantità inferiori. I pesci predatori presentano livelli di mercurio decisamente superiori rispetto a quelli erbivori della medesima taglia. Esiste comunque un’ampia variabilità nella concentrazione del mercurio tra esemplari pescati in tempi e luoghi differenti e appartenenti a diverse specie. Ricordo inoltre che nel muscolo del pesce il metilmercurio si lega specificatamente allo zolfo, quindi agli aminoacidi solforati, distribuendosi così in tutto il tessuto muscolare dell’animale. Per tale motivo è impossibile separare porzioni di pesce contenenti Hg da parti prive.

Esiste un limite di mercurio nei prodotti ittici?

Nei pesci erbivori si riscontra, normalmente, un contenuto di Hg nettamente inferiore al limite di legge fissato dal Reg. (CE) 1881/2006 e s.m.i. (0.50 mg/kg), mentre non è inusuale riscontrare valori elevati di tale elemento, anche superiori al limite di riferimento (1.0 mg/kg), nelle specie predatrici quali tonno, pesce spada o squali. I limiti di mercurio nei prodotti della pesca sono stabiliti dal Regolamento (CE) n. 1881/2006, che ha fissato 0,5 mg/kg per i pesci e muscolo di pesce, e 1 mg/kg per lo squalo, pesce spada, tonno, rana pescatrice, storione, ecc..

È chiaro che l’assunzione media di mercurio da pesce e frutti di mare varia da paese a paese a seconda della quantità e del tipo di pesce consumato. Esiste dunque una regionalizzazione dei consumi di pesce, ad esempio In Italia il consumo di prodotti ittici si attesta intorno ai 22 Kg pro capite/anno, con il Sud che consuma il doppio del Nord.

Dalle stime di assunzione di metilmercurio attraverso il consumo di prodotti ittici, è risultato che la media dei livelli di esposizione in Europa sulla base dei dati forniti dagli Stati membri è al di sotto e a volte piuttosto vicina alla dose settimanale tollerabile di 1,6 μg/kg di peso corporeo per tutti i gruppi di età, con l’eccezione di bambini piccoli (meno di sei anni) e altri bambini come descritti in altre indagini. I consumatori frequenti di pesce, che potrebbero includere le donne in gravidanza, possono superare tale dose sino a circa sei volte. I bambini non ancora nati costituiscono il gruppo più vulnerabile. Infatti se il metilmercurio supera i livelli di assunzione stabiliti diventa particolarmente tossico per il sistema nervoso e cervello in via di sviluppo. L’esposizione durante la gravidanza e la prima infanzia è quindi particolarmente preoccupante.

Come si può prevenire il rischio mercurio nei prodotti ittici ?

Stante l’impossibilità in un contesto di crescente globalizzazione di garantire la totale assenza sul mercato di prodotti ittici contenenti mercurio oltre i limiti consentiti (è comunque possibile selezionare ed utilizzare zone di pesca caratterizzate da livelli bassi di mercurio), fatto salvi gli interventi di sequestro e distruzione di partite risultate non conformi a seguito di controlli veterinari, la gestione del rischio mercurio nei prodotti ittici, può essere affrontato solo integrando i livelli di responsabilità che attengono gli organi di controllo con quelli dei consumatori. In sostanza gli interventi più efficaci dovrebbero spostarsi sul campo della prevenzione, attraverso interventi di comunicazione/informazione rivolti ai consumatori finalizzati ad evitare consumi eccessivi di specie a rischio in particolare per le categorie di consumatori sensibili.

La Commissione Europea (DG Sanco- Health & consumer protection directorate general) in una recente nota informativa consiglia le donne in età fertile, quelle in stato di gravidanza o in fase di allattamento e i bambini, di evitare di assumere pesce spada, squalo e sgombro o al limite di non consumarne più di una porzione piccola alla settimana (meno di 100 g). In caso di consumo di tale porzione non si dovrebbe mangiare nessun altro pesce nello stesso periodo. Anche la FDA e EPA americane invitano i consumatori a non eccedere nel consumo di tonno o pesce spada (si sconsiglia inoltre di mangiare tonno più di 2 volte) e a variare il consumo di pesce, proprio per limitare l’apporto di mercurio.

Prendendo in considerazione l’importante apporto nutrizionale che il pesce fornisce con la dieta, anche l’EFSA raccomanda che le donne in età fertile (in particolare, coloro che intendono avere una gravidanza), le donne incinte e che allattano come pure i bambini, selezionino altri pesci, senza dare la preferenza indebita ai grandi pesci predatori come il pesce spada e il tonno. Tutti gli altri tipi di pesce a rischio (ovvero carnivori di terzo e quarto livello trofico nella piramide alimentare) potrebbero esser mangiati con moderazione, in misura pari a 300-400 g/settimana.

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giovedì 11 settembre 2014

Conseguenze dell'esposizione agli interferenti endocrini: cosa sappiamo?

Secondo l'Health and Environment Alliance (HEAL), numerosi studi sperimentali ed epidemiologici riguardanti gli interferenti endocrini ed i loro effetti sulla salute hanno evidenziato che le malattie maggiormente correlate all'esposizione a queste sostanze sono:

  1. Disturbi riproduttivi femminili e maschili, compresa la bassa conta spermatica, con rischio di infertilità;
  2. Tumori della prostata, della mammella e dei testicoli;
  3. Anomalie anatomiche del pene e dei testicoli nei neonati;
  4. Disturbi comportamentali nei bambini come autismo e ADHD (disturbo da deficit di attenzione e iperattività)
  5. Obesità e diabete di tipo II
I trend per queste patologie sono in aumento in tutti i Paesi e sono stati registrati, nei bambini, anche problemi nello sviluppo intellettivo.
Nel loro insieme gli IE contribuiscono alle malattie per le quali sono stati chiamati in causa per una percentuale di casi che va dal 2 al 5%; se quest’ultima fosse la stima corretta, significherebbe che ogni anno in Europa si spendono 31 miliardi di euro per curare malattie evitabili.
Del resto, anche secondo l’OMS, l’esposizione a queste sostanze rappresenta una minaccia alla salute globale, dal momento che si trovano ovunque, dai cosmetici agli imballaggi e ai contenitori per alimenti, dai cibi alle bevande, dai giocattoli a moltissime plastiche. 
L’Europa sta dibattendo su una strategia efficiente, basata su test in vitro in grado di identificare i possibili IE. Per esempio, un aspetto ancora da sviluppare è quello dell’identificazione di meccanismi di tossicità correlabili alla sindrome metabolica. Un altro aspetto critico è l’indubbia utilità da un punto di vista produttivo di alcuni IE come il bisfenolo A quando si usa come come additivo nelle plastiche, compresi molti materiali a contatto con gli alimenti . Ci sono anche alcuni pesticidi che hanno effetti endocrini (ad es., triazoli, dicarbossimidi, mancozeb) ma che svolgono un ruolo molto importante per la difesa delle coltivazioni. Non si tratta quindi di sostanze da vietare tout court, ma da sostituire con altre più sicure. È evidente che una sostituzione frettolosa in nome del principio di precauzione con sostanze non adeguatamente studiate e sperimentate potrebbe creare problemi di sicurezza a posteriori ugualmente preoccupanti.

Bibliografia:
www.ilfattoalimentare.it
ISS, Previeni, Studio in aree pilota sui riflessi ambientali e sanitari di alcuni contaminanti chimici emergenti (interferenti endocrini): ambiente di vita, esiti riproduttivi e ripercussioni nell'età evolutiva.



venerdì 5 settembre 2014

Le diossine: gli interferenti endocrini che nascono dalle ceneri (e non solo)

Le diossine appartengono a quella categoria di composti chimici denominati organoclorurati. La loro caratteristica è il forte legame carbonio - cloro, che conferisce a queste molecole una grande persistenza, Una molecola di diossina, immessa nell'ambiente, resiste anche 7-11 anni.

Si parla di diossine, al plurale, in quanto si tratta di una famiglia di 75 congeneri, anche se comunemente, con il termine diossina, ci si riferisce alla 2,3,7,8 tetraclorodibenzo - p - diossina,

La diossina appartiene al grande gruppo degli interferenti endocrini, come dice la parola stessa influiscono sui sistemi ormonali, accelerando, rallentando, o modificando completamente il loro funzionamento, In particolare, dopo il disastro di Seveso, ma anche in seguito ad altri eventi di contaminazione da diossina, si è osservato un aumento del numero di aborti spontanei e nascita di feti malformati, sia negli animali che negli uomini, Inoltre, dal 1997, la diossina è classificata dall'IARC come sostanza cancerogena.

Due sono i processi che portano alla formazione di diossina:

1) Industriale: la diossina si forma come sottoprodotto di una reazione chimica contenente cloro. Questo è il caso della contaminazione avvenuta a Seveso nel 1976.

2) Termico: combustioni incomplete (in cui la sostanza organica non è completamente convertita in CO2), in presenza di cloro (in proporzioni definite, però, non basta la sola presenza) e ad una temperatura compresa tra i 300 e i 450°C.

La diossina, quindi, è essenzialmente, un problema di ARIA.

In verità, una volta immessa nell'atmosfera, la diossina può ricadere sulla terra o per precipitazione secca o per precipitazione umida (ovvero adsorbita alle precipitazioni).

In questo modo, la diossina si deposita sulle piante, sui frutti, sull'erba. E' una sostanza idrofoba e lipofila, ovvero non si scioglie in acqua, ma si scioglie nei tessuti grassi. Questo significa che può accumularsi nei tessuti adiposi degli animali (tra i quali, ricordiamo, ci siamo anche noi). 

Il problema non è grave relativamente ai vegetali. Nel suolo si adsorbe alle particelle di terra e non viene assorbita dalle piante (neanche tramite l'acqua, vista la sua idrofobicità). Le uniche che fanno eccezione sono le cucurbitaceae, perché secernono nel suolo una sostanza in grado di rendere disponibile la diossina per le piante.
Per tutti gli altri vegetali, invece, è buona norma lavare bene frutta e verdura prima di mangiarle e per lavare bene intendiamo proprio LAVARE BENE.

Ma c'è un problema: ok, noi laviamo frutta e verdura...ma chi lava l'erba prima che le mucche, le pecore e gli altri animali da pascolo la mangino? La risposta è NESSUNO.

Gli animali da pascolo assumono, laddove presente, diossina dall'erba che mangiano e tendono ad accumularla nei loro tessuti grassi, quindi adipe e latte materno. 

Come fare per evitare di mangiare alimenti contaminati?

Dai primi anni 2000 il Ministero della Salute ha attuato vari piani (alcuni dei quali tutt'ora in corso) allo scopo di controllare gli allevamenti, i loro mangimi ed i loro prodotti, Alla luce dei risultati ottenuti è stato imposto l'obbligo agli allevatori di effettuare controlli semestrali e di segnalare eventuali non conformità. 
Quindi, quando acquistiamo derivati del latte e carne accertiamoci di conoscerne la provenienza ed evitiamo di affidarci ad allevatori sconosciuti che producono "da sé" bypassando gli obblighi per i produttori.
Evitiamo di prendere troppo peso, un aumento di massa grassa nel nostro corpo aumenta automaticamente la possibilità di accumulare diossina nel tessuto adiposo.
Qualora, invece, ci troviamo già in condizioni di grande sovrappeso o obesità, evitiamo di affidarci alle diete "tutto e subito". Se negli anni notevoli quantità di diossina si sono accumulate nel tessuto adiposo, ma, un po' perché l'esposizione è stata bassa e cronica, un po' perché rimasta "intrappolata", non abbiamo avuto alcun sintomo, un dimagrimento eccessivamente veloce porterebbe alla liberazione nell'organismo di quantità di questa sostanza che risulterebbe tossica.


Bibliografia:
Barbiere M, Umlauf G and Skejo-Andresen H, Campionamento analitico della zona B di Seveso e Comuni limitrofi per la ricerca della 2,3,7,8-TCDD residua (V fase) e accordo aggiuntivo per la zona A. Rapporto finale, maggio 2000
Facchetti S and Balasso A (1986), Studies on the absorption of TCDD by some plant species, Chemosphere 15, 1387-1388
IARC, 1997, Monograph on the Evaluation of the Carcinogenic Risk of Chemicals to Man, Vol. 69, p.33.
Ministero della Salute, Dipartimento della sanità pubblica veterinaria, della sicurezza alimentare e degli organi collegiali per la tutela della salute, Direzione generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione, Controllo diossine negli alimenti – Regione Campania: periodo 2001 – 2012, anno 2013.
US EPA., Environmental Protection Agency,1994, Health Assessment documenti for 2,3,7,8 – tetrachlorodibenzo – p – dioxin (TCDD) and related compounds, US Environmental Protection Agency, EPA/600/BP-92/001 a-c).
WHO, World Health Organization, Population health and waste management: scientific data and policy options, Marzo 2007.

sabato 30 agosto 2014

Gli Interferenti Endocrini: i nemici silenziosi

"Gli Interferenti Endocrini sono sostanze esogene, o una miscela di sostanze, che alterano la funzionalità del sistema endocrino, causando effetti avversi sulla salute di un organismo" 

(European Workshop on the impact of Endocrine Disruptors on Human Health and Wildlife, Waybridge, 2-4/12/1996)

Ormai sono centinaia le sostanze appartenenti alla categoria degli Inteferenti Endocrini, tra cui abbiamo pesticidi (erbicidi, insetticidi, fungicidi), detersivi, vernici, cosmetici, sostanze chimiche industriali come diossine e furani, ftalati e achilfenoli (APEs) prodotti dagli inceneritori, dalle cartiere e dai processi di combustione incontrollata, i policlorodibenzofenili (PCBs), usati spesso come isolanti elettrici.

Tutte queste sostanze possono interferire negativamente con il funzionamento e la regolazione del sistema endocrino, dal quale, a sua volta, dipendono importanti funzioni necessarie alla sopravvivenza dell'individuo (metabolismo, sistema immunitario, comportamento, sviluppo e crescita) e della specie (riproduzione).

L'esposizione agli Interferenti Endocrini può causare importanti patologie, sia nelle donne (neoplasie della mammella, del colon, della vagina, dell'endometrio ed anomalie strutturali dell'ovidotto e dell'utero) che nell'uomo (difetti genitali alla nascita, cancro testicolare e produzione di liquido seminale scadente per quantità e motilità degli spermatozoi ed allargamento o riduzione della prostata).

Purtroppo gli Interferenti Endocrini agiscono anche quando presenti in piccole quantità (anche in concentrazioni di 1 su 1000000000000).

Il meccanismo di azione degli Interferenti Endocrini è molto semplice:

Ogni ormone ha un recettore con il quale si lega per esplicare la propria funzione. Un interferente endocrino è in grado di legarsi al recettore di uno specifico ormone "sostituendosi" ad esso. Naturalmente, però, l'effetto non potrà essere quello atteso dal legame con l'ormone, ma ne risulterà un blocco del meccanismo o un aumento del meccanismo o anche un meccanismo insufficiente.

Una caratteristica comune a molti Interferenti Endocrini è la loro natura lipofilica, che li rende particolarmente stabili e persistenti nell'ambiente, nonché accumulabili nei tessuti degli animali.
Infatti la lipofilicità ostacola lo scioglimento di tali sostanze in acqua e, al contrario, fa sì che esse si sciolgano nei tessuti grassi, come i tessuti adiposi animali (e umani), e il latte materno.
Questa caratteristica, quindi, favorisce i fenomeni di bioaccumulo e biomagnificazione

Le persone obese, quindi con grande quantità di tessuto adiposo, possono di conseguenza accumulare, in proporzione, più sostanze tossiche rispetto alle persone magre. Questo è un fattore da tenere ben in considerazione nel momento in cui si decide di mettersi a dieta e perdere peso, in quanto la perdita di massa grassa può rimettere in circolo le sostanze tossiche accumulate, provocando un danno da rischio chimico all'organismo. Questo è uno dei motivi per cui i dimagrimenti devono essere sempre controllati, non arbitrari e non drastici e veloci.




venerdì 29 agosto 2014

Bioaccumulo, Bioconcentrazione e Biomagnificazione: gli anelli di congiunzione tra i problemi ambientali e le loro ripercussioni sulla salute

Con il termine bioaccumulo si indica quel fenomeno di accumulo irreversibile di una sostanza nei tessuti degli organismi viventi. Esso viene utilizzato, indirettamente, come parametro per la determinazione degli effetti tossici di una sostanza inquinante, dal momento che fornisce una stima più precisa del reale livello di contaminazione degli organismi, rispetto al solo calcolo dell'esposizione.
Il bioaccumulo delle sostanze tossiche può avvenire o direttamente dall'ambiente in cui l'organismo vive o attraverso l'ingestione lungo le catene trofiche oppure in entrambi i modi: nel primo caso il fenomeno viene definito bioconcentrazione, nel secondo caso biomagnificazione.

In entrambi i casi le concentrazioni della sostanza nei tessuti dell'organismo diventano progressivamente  più alte di quelle presenti nell'ambiente da cui è stata assorbita. Il fattore di bioconcentrazione (BCF) viene definito come il rapporto, all'equilibrio, tra la concentrazione di una sostanza tossica nell'organismo e quella del mezzo circostante (per gli organismi acquatici il mezzo circostante è l'acqua, per gli organismi terrestri  corrisponde al cibo di cui si nutrono). Naturalmente tale fattore varia, oltre che da sostanza a sostanza, anche da specie a specie. 

Valori di BCF maggiori di 1000, misurati nei pesci, suggeriscono che la bioconcentrazione negli organismi acquatici è molto elevata (dati HSDB, Hazardous Substances Data Bank).

Bisogna sottolineare che elevati livelli di bioaccumulo sono responsabili del fenomeno di "amplificazione", che porta quantità e concentrazioni nei comparti ambientali dai livelli di traccia a livelli tali da risultare potenzialmente preoccupanti.







Bibliografia:
Baird C, Chimica ambientale, 1997, ed. Zanichelli
Travis C., Arms A.D., Bioconcentration of organic in beef, milk and vegetation, Environ., Sci., Technol., 22, 271 - 274